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JU DOU Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 giugno 1990
 
di Zhang Yimou e Yang Fengliang, con Gong Li, Li- Bao-Tian, Li Wei (Cina, 1990)
 
Quando il bravissimo direttore della fotografia di Chen Kaige (il regista cinese di TERRA GIALLA che ha rivelato all'Occcidente, pochi anni or sono, l'esistenza di una sorta di nouvelle vague cinese) pensa in cinema, lo fa come ogni specialista dell'immagine: privilegiando l'estetica. Il risultato può essere (come - in parte - nel caso del precedente SORGO ROSSO) ai limiti della brillante dimostrazione: facile simbolismo cromatico, sentimentalismo, accademismo e via dicendo. Ma può anche piegarsi ad un discorso espressivo perfettamente coerente con il discorso che si vuol condurre.

È ciò che succede in questa storia della giovane moglie di un vecchio tintore, impotente e crudele per giunta che, in un'epoca trascorsa non esattamente indicata, ma comunque impregnata di tradizione ipocrita ed oscurantista, che s'innamora (con tanto di sesso e passione travolgente, curiosamente assai più vicina al cinema giapponese che non a quello, casto ed elegiaco, dei cinesi...) del giovane apprendista, e nipote, del tintore.

Come nei momenti migliori di SORGO ROSSO, il magistero pittorico dell'autore tende a creare, all'interno del racconto, quasi una seconda struttura: una sottile, raffinata costruzione spaziale, coloristica, musicale che tende all'astrazione. Perché all'astrazione? Perché è in quella dimensione che le forze della Passione, e le tendenze verso l'Assoluto riescono ad esprimersi pienamente. Nei colori clamorosi delle stoffe appena tinte, nei riquadri formati dalle macchine antiche, delle travi che filtrano la luce, dei meccanismi artigianali, quasi medioevali che si mettono in moto,, negli elementi primitivi come l'acqua ed il fuoco la sessualità, i sentimenti, gli affetti, gli interessi, i rapporti di forza, insomma, che governano i personaggi, si intrecciano ed amplificano all'infinito. Ritroviamo allora, in questa corsa alla stilizzazione ed all'astrazione, alcuni temi imperiosi di SORGO ROSSO. Che ci fanno pensare che il suo autore non sia soltanto occupato a dilettarsi del bello: primo fra tutti, quello del trapasso dalla leggenda alla realtà.

Con una passione ed una forza che sembrano farne il pittore della donna moderna in un paese che ne ha sicuramente bisogno, Zhang Yimou la inscrive dapprima ben bene nelle strutture tradizionali, come i mestieri, il rispetto per i costumi anche più repressivi, il tutto descritto con precisione quasi documentaristica. Poi, progressivamente, grazie a delle pulsioni che come qui sono anche erotiche o passionali, la estrae dalla favola: per farne una donna - moderna, appunto - perfettamente cosciente del proprio ruolo sociale ed esistenziale. E del trapasso storico che incomincia a prodursi nel mondo che la circonda.

Certo, le tentazioni (come quel bagno mortale nel rosso affascinante e prevedibile della vasca del tintore, o la scelta della squisitissima, ma anche hollywoodianamente levigata protagonista) sono sempre presenti agli occhi sapienti del nostro fotografo: ma, di dolcezza in violenza alle quali vuole condurci, perché voler ad ogni costo resistergli?


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